Charlie Kenton ha appeso i guantoni al chiodo. Il ring non fa più per lui, stop agli incontri e ai mutandoni colorati: ormai il pubblico vuole i robot. Sì, giganteschi pupazzoni d’acciaio che se le danno di santa ragione infervorando gli spettatori. S’adegua ai tempi, Charlie, e riesce a sbarcare il lunario assemblando robot dismessi per organizzare match in arene clandestine. Non una gran bella roba, certo, ma Kenton non è un uomo di grandi pretese, almeno fino a quando non riappare nella sua vita Max, il figlio che non vedeva da un pezzo.
Il film diretto da Shawn Levy mantiene le promesse vergate a mano da tutto il mondo intorno (cast & crew). Diamo un’occhiatina ai titoli di coda per spiegarci compiutamente. L’ispirazione arriva da un autore illustre, quel genio della letteratura fantascientifica che è Richard Matheson, e dal suo romanzo breve "Steel", già scelto come script per un episodio della serie tv Ai confini della realtà (1963). Detto del 'mastro' di ciak Levy, tra i produttori esecutivi scorgiamo anche Steven Spielberg e Robert Zemeckis. Potremmo chiuderla qui, quanto a garanzie da minimo sindacale, ma faremmo un torto a Hugh Jackman ed Evangeline Lilly. Mister Wolverine interpreta Charlie Kenton, l’affascinante protagonista di Lost è Bailey, amica di Charlie che prende a cuore suo figlio Max.
Molto Rocky, poco Transformers. Real steel non è la solita storia dell’uomo contro le macchine, né le meraviglie della motion capture sono usate per catturare l’attenzione del pubblico, seppur molto ben fatte. C’è azione, spettacolo, adrenalina ma anche tanta umanità. La parabola del riscatto sociale trova il naturale sfogo nella storia di padre e figlio. Il genitore scapestrato vaga come fosse uno zombie di papà Romero, la tecnologia e un carattere difficile l’hanno condotto dritto nel ‘tunnelelelelel’ della perdizione. E quando si rende conto che al peggio – o fine del tunnelelelelel – non c’è mai fine, ritrova il figlio. L’adolescente ha la testa ben salda sulle spalle e trova il modo di far risalire la china al paparino. Parliamoci chiaramente, trama e morale non sono esattamente il pezzo forte, a sorprendere, piuttosto, è la sapiente commistione tra coreografie robotiche d’avanguardia – che s’avvalgono addirittura della consulenza del campione statunitense anni Ottanta dei pesi Welter, Sugar Ray Leonard – e storie commoventi. A proporsi come nuovo eroe/pupazzone/robottino da seguire nei cruenti combattimenti ecco Atom, liberamente ispirato allo stallone italiano Rocky Balboa, per esaltare il pubblico action ed emozionare quello ‘lacrimuccia oriented’. Senza Adriane da strillare né occhi pesti da tenere a bada, naturalmente. Ah, i vantaggi d’esser d’acciaio!
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