New York, 1921. Una delle prime visioni del Nuovo Mondo per chi arriva dallo sconfinato Oceano è la Statua della Libertà. Dalla vecchia Europa sono in molti a cercare rifugio e una vita migliore nella terra americana. Ewa e Magda sono sorelle e giungono dalla Polonia. La tappa obbligata è Ellis Island e i sogni s’infrangono sulla diagnosi medica che sospetta in Magda il focolaio della tubercolosi. Ewa è disperata, la sorella viene trattenuta in attesa di essere (probabilmente) rimpatriata. E anche lei rischia di essere rispedita in Polonia. Si aggira nei corridoi dell’isolotto-dogana in cerca di aiuto e s’imbatte in Bruno. L’uomo si offre di aiutarla, ma non certo per un atto di magnanimità. Una volta nel cuore di Manhattan, Ewa è (quasi) costretta a prostituirsi per sopravvivere e sperare di riprendersi Magda. Poi incontra Orlando, illusionista e cugino di Bruno, che le spalanca le porte della speranza, ma Bruno non ha intenzione di rinunciare così facilmente alla bella ragazza polacca…
Che impertinente quel James Gray! Sì, andiamo un po’ a ruota libera, ma mettiamo subito in chiaro il pubblico encomio da tributare al regista newyorkese. Dal titolo italiano evocativo, stavolta vogliamo prendere spunto per spararla grossa. Incline alla tregenda e a braccetto col melò, Gray ci ha stupiti. C’era una volta a New York scava nella psiche del genere umano, fotografa un periodo storico infarcito di piccoli gangster, maghi, magnaccia e disperati.
Ha la veste aristocratica di un’opera lirica, la pellicola, affascinante, cruda, ricolma di incontri, desideri infranti e tradimenti che ridefiniscono i legami di sangue. Occhei, è tragedia pura, ma l’emozione è potente e in qualche modo pare volersi accaparrare quell’eredità filmica che Sergio Leone e Francis Ford Coppola hanno lasciato lì, pronta per chi ne meritasse almeno un pezzettino. E non si tratta solo d’assonanza quella con il C’era una volta in America di Leone, magari un abbraccio al limite dell’insolenza artistica, ma degno e sulla buona strada. L’America dei primi del Novecento, con le fondamenta alimentate e sorrette dalle diverse culture, diventa terreno fertile per narrare le famiglie, fonti inesauribili di rinascita o di estinzione. Attraverso il prisma della tragedia antica, si consuma un triangolo amoroso che non è storia sola al comando, ma ha intorno passioni e terrori, disgusto e sacrifici.
Il cast vede eccellere Marion Cotillard e Jeremy Renner (Orlando). La prima lascia trasparire i tormenti della coscienza di Ewa che non osa credere sia facile e senza un prezzo da pagare salvare lei e la sorella. Il secondo incarna la speranza di quell’America che non colpevolizza l’immigrazione e si sente di azzardare un nuovo inizio senza pregiudizi. Appena un gradino sotto, spunta Joaquin Phoenix, al meglio nella parte ‘restrittiva’ del villain Bruno.
Sfugge ai barbagli dorati dei cliché melodrammatici, C’era una volta New York, grazie a mestiere e stile di James Gray. Al capolavoro manca un’incollatura d’anima per alcuni personaggi colpevolmente abbandonati a se stessi. Se son rose… lo vedremo!
Non ci sono commenti.
Aggiungi un commento